Se per ogni fallimento una persona si fermasse, allora non saremmo arrivati ad oggi con una cultura e un avanzamento scientifico così avanzato. Se per ogni volta che noi abbiamo donato qualcosa di noi stessi ci fosse stata staccata una parte, allora oggi non avremmo persone di spessore o famose per le proprie conquiste in ogni genere di campo. Spesso tendiamo a chiudere porte lì dove non ci sono. Le creiamo appositamente per riuscire a creare un distaccamento dalla realtà dei fatti – per non soffrire.
Ogni genere di fallimento porta dispiacere, non per questo noi dobbiamo smettere di tentare. Piuttosto dobbiamo soffermarci su come vogliamo vivere quel fallimento, come qualcosa che ci devia oppure come qualcosa da comprendere? Non c’è una risposta esatta e categorica per ogni cosa, ma bensì c’è la possibilità. Di scegliere come viverlo o meglio del significato che volete dargli. Ritentare è da testardi sì, ma anche da persone perseveranti, che hanno ben in mente il loro obbiettivo, e sanno esattamente quali sono le loro reali capacità; sanno che se danno 10, possono dare anche 11, perché le risorse interiori sono tante, ma di certo è quella sensazione interiore che ti spinge a vivere un rinnovamento piuttosto che un fallimento.
Un sano equilibrio tra mente e cuore, darà sempre la risposta più giusta per noi, e come ha detto Thomas Edison dopo la due millesima lampadina bruciata: “Io non ho fallito duemila volte nel fare una lampadina; semplicemente ho trovato millenovecentonovantanove modi su come non va fatta una lampadina.”

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