Ci sono delle volte che sono arrivata tanto così a mollare e lasciare tutto, adagiarmi nell’habitat che mi sono ritrovata; e tante in cui mi dicevo a me stessa che non lo stavo facendo ma in realtà oggettivamente mi ero adagiata. Nell’attesa che qualcosa di bello venisse da me, che i miei desideri arrivassero, che ciò che desidero tornasse o arrivasse da me. Più aspettavo più mi raccontavo che domani è il giorno buono che comincia la svolta. Quel domani mi ha letteralmente risucchiata. Ogni giorno lavoravo, su me stessa, e sui miei progetti. Ma non sentivo mai di fare quel salto di qualità. Mi ero applicata nello studio (un po’ superficialmente), sui miei progetti (anche economicamente), sullo studio della psicologia umana e su come essere migliore dei miei fallimenti. Eppure mi alzavo che le cose intorno a me erano rimaste ferme, ammassate da un lato in attesa di questa svolta. Più mi chiedevo come svoltare, più sentivo di procrastinare. Ogni cosa aveva assunto dell’insignificante, non aveva senso questa enorme consapevolezza che mi ero trovata ad avere, perché non ero felice.
Ho cominciato ad osservare tutto ciò che mi circondava, dalla natura, alla famiglia, alle persone. Iniziavo ad apprezzare ogni singola cosa di ciò che percepivo. Apprezzavo e poi svaniva. Cercavo dentro di me e fuori, qualcosa di duraturo. Ma non c’è. Anche le mie scelte cambiavano, i miei gusti, e miei desideri. Non solo l’ambiente e le persone che mi circondavano. Ho iniziato ad accettare l’impermanenza della vita. Ma non mi bastava dire che il destino mi darà ciò che desidero o le cose verranno da sole; sapevo che dovevo darmi da fare e che i miei desideri erano realizzabili solo da me, e io lavoravo per questo. Ogni giorno mi alzavo pensando che avevo un’opportunità. Alla fine mi sono aggrappata a questo; all’unica cosa che avevo: l’opportunità di creare.

Lascia un commento